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Caro Gianfranco...
di Gian Pietro Testa
Caro Gianfranco, mi hanno chiesto di dire due parole in occasione della dedica di questa piccola strada al tuo nome: lo faccio con grande malinconia, appena appena mascherata da quel velo di ironia che sempre ha tenuto legati i nostri colloqui. Volevo dirti, Gianfranco, che la canonizzazione tua è stata veloce, anzi rapidissima, non ha trovato ostacoli di miscredenti, tantomeno di denigratori, e quando una via, una piazza, un corso, un vicolo o un semplice cortile vengono intestati al nome di un personaggio che ci ha lasciati da poco, significa che questa persona, in vita sua, ha raggiunto o il potere, o una grande fama, surrogato del potere, ovvero è stata molto amata. E tu Gianfranco, lo sai, sei stato amato. Al di là della stima che ti ha circondato, al di là del valore stesso della tua opera letteraria, io credo che essere penetrato nei cuori di tante persone con il tuo affetto rispettoso, con la leggera tenerezza del tuo parlare e dei tuoi gesti, con la tua richiesta ansiosa di un giudizio, di un "bravo", di una carezza, ti abbia creato attorno una folla di amici. Di amici veri... Il fatto è, vedi Gianfranco, che i tuoi lettori - e io so che avresti voluto conoscerli uno per uno - ti hanno sentito sempre vicino a loro, molte volte si sono riconosciuti in uno dei tuoi personaggi, i quali mai erano stati inventati, mai dovevano rappresentare un mito irraggiungibile; venivano, invece, direttamente dal mondo, dai tuoi incontri quotidiani, secondo un filone che ha fatto grande una parte importante delle letteratura moderna. Di volta in volta, i tuoi lettori sono stati il punturaio, il commesso viaggiatore, la padrona di una trattoria, uno studente, un impiegato, un operaio: era la vita che scorreva nelle tue vene, sicché noi lettori, quasi sempre, ci siamo trovati coinvolti nelle tue storie tortuose come i nostri pensieri, come i nostri gesti segreti. Si, Gianfranco, i tuoi personaggi eravamo noi, trasportati nella pellicola della tua fantasia. E oggi siamo qui, noi tuoi lettori e tuoi personaggi, al contrario di quel che direbbe Shakespeare, non a piangerti ma a onorarti. Noi tuoi amici, no i tua città, questa fascinosa città, di cui difficilmente hai superato le mura, tanto indifferente quanto inaspettatamente generosa, rozza e raffinata, cinica e civile. Una strana città, Gianfranco. La nostra città. Forse la migliore possibile in questo mondo ogni giorno più crudele, ogni giorno più violento e, purtroppo, ignorante. Un mondo, vorrei dire, che oggi appare ancora più furiosamente inutile di ieri. Ma un mondo nel quale di tanto in tanto hai la ventura di incontrare un Gianfranco Rossi.
Credimi, amico mio, non è poco.
(tratto dalla rivista UnPoDiVersi - Giu-Lug 2002)